La Latte Art ai tempi di Facebook

di Carlo Odello
(Consigliere e docente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè)

Ai nostri corsi insegniamo che il rapporto con il mondo si sviluppa fondamentalmente attraverso tre canali: quello visivo, quello uditivo e quello cinestesico (olfatto, tatto e gusto). Che nella nostra società il canale visivo sia quello prevalente non è un mistero. Che Internet abbia rafforzato questa tendenza è altrettanto noto: il canale visivo è prevalente nell’uso di questo mezzo, accompagnato da quello uditivo, ma per impossibilità tecnica mai dal canale cinestesico.

I social network in particolare sono la celebrazione del visual. E’ risaputo che un post su Facebook ha molte più probabilità di essere letto se accompagnato da un’immagine. In questo senso stiamo forse coltivando un analfabetismo di ritorno, simile a quello delle chiese medievali progettate con bellissime vetrate completamente istoriate per fare fronte all’ignoranza di una popolazione che non sapeva né leggere né scrivere.

E chi nel coffee business ha tratto il maggiore vantaggio da questo approccio completamente visivo di Internet e dei social media è stata probabilmente la latte art. Disciplina per eccellenza della forma e non della sostanza, ha trovato nel mezzo lo strumento perfetto: è infatti una gara quotidiana quella che si consuma tra i baristi per condividere su Facebook, ma non solo, le loro migliori rosette o cigni o foglie (o fate voi).

Ma il mezzo visivo è limitante: non ci fornisce alcuna informazione sulle caratteristiche olfattive, gustative e tattili. E potrebbe in qualche modo limitare lo sviluppo della latte art stessa con una deriva manierista: potrebbe ridurre il tutto a una gara semplicemente tra chi riproduce al meglio il disegno del maestro. E il manierismo è la morte di qualsiasi istanza artistica, normalmente viene spazzato via da un nuovo movimento. C’è solo da capire quale a questo punto.

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