Miscela o monorigini per il caffè? Parla Caffè River

Continuano ad arrivare commenti alla redazione di Coffee Taster sulla recente ricerca pilota svolta dal Centro Studi Assaggiatori in collaborazione con l’Università di Padova. La ricerca ha indagato le preferenze dei consumatori tra monorigini e miscela (qui è disponibile una sintesi).  Oggi diamo la parola a Marco Dalla Ragione della torrefazione Caffè River di Arezzo.

L’oggetto della ricerca è veramente interessante. Mi chiedo se il campione sia rappresentativo, essendo composto per due terzi da laureati e diplomati. Sarebbe inoltre interessante conoscere la distribuzione per fasce d’età. Relativamente all’interesse per i monorigine, ci dispiace rilevare come questo sia ancora limitatissimo, almeno nella nostra area. L’esperienza è stata tentata tempo addietro con l’installazione in alcuni esercizi di un macinadosatore aggiuntivo, per offrire al consumatore la possibilità di richiedere un caffè espresso monorigine, con una scelta che variava su base mensile tra Repubblica Dominicana, Guatemala, Costa Rica ed altri Arabica. Un certo interesse iniziale, dettato principalmente dalla curiosità, effettivamente si riscontrava, ma a spese della miscela standard, il cui utilizzo veniva "cannibalizzato" da un prodotto che era vissuto come alternativo al consumo ordinario. Nello spazio di poco tempo, mesi se non settimane, l’interesse per il monorigine tendeva drasticamente ad affievolirsi senza che si fosse creata una nicchia di consumo addizionale a quella ordinaria. Ad ogni modo, caveat emptor, il mio commento soffre di almeno tre problemi. Il primo è la rappresentatività del campione: gli esercizi selezionati non rappresentavano la distribuzione della generalità degli esercizi (e questo rende il risultato ancora più deprimente…). Il secondo è la generalizzazione del risultato: ci sono senz’altro dei locali nei quali la reazione ai monorigine è diversa, anche se sono quei pochissimi locali di taglio particolare che ospitano consumatori più evoluti e raffinati. In terzo luogo l’obsolescenza: la nostra esperienza risale a oltre due anni fa e il mercato potrebbe essere mutato anche se, almeno superficialmente, non sembra esserlo.

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2 Commenti a “Miscela o monorigini per il caffè? Parla Caffè River”

  1. Prof. Giorgio Graziosi scrive:

    MELE E CAFFE’
    Tutti noi sappiamo distinguere un frutto dal suo aspetto e ci aspettiamo che una mela gialla Golden Delicious sia dolce e zuccherina, mentre ci aspettiamo anche una mela verde Granny Smith sia piuttosto acidula. Ci aspettiamo pure che una mela Golden che arrivi dal Trentino presenti le stesse principali caratteristiche di una mela Golden che arrivi dalla Germania o dall’Inghilterra. In effetti tutte le mele Golden presentano la stessa base genetica e di conseguenza presentano le stesse principali caratteristiche, vedi colore e gusto di base, indipendentemente dalla loro provenienza. Non è così per il caffé e potremmo chiederci il perché. Le ragioni sono molteplici e certamente bisogna citare che da sempre siamo abituati a consumare miscele di caffé che provengono da zone rurali di paesi molto lontani e da cui è difficile avere informazioni sulla varietà botanica della pianta. Un altro motivo per cui non ci curiamo della varietà del caffé è l’impossibilità di distinguerle in base all’aspetto del chicco. I grani di caffé possono essere un po’ grandi o un po’ più piccoli ma non abbiamo altri elementi distintivi per poter distinguere la varietà e la qualità.
    L’approccio sperimentale riportato da Coffee Taster è certamente un interessante ed encomiabile approccio sperimentale ma richiederebbe un approfondimento sul termine monorigine. Difatti, se con questo termine intendiamo caffé provenienti dalla stessa zona e non da una stessa varietà di una stessa zona, è come dire che abbiamo preso le mele del Trentino indipendentemente dalla loro varietà, mescolate fra di loro e confrontata con una pari mescolanza proveniente dall’Inghilterra. Francamente sono sorpreso che gli assaggiatori siano riusciti a distinguere una qualche differenza fra i monorigine, equivalente alla miscela di varietà effettuata all’origine, rispetto alle miscele effettuate poco prima del consumo.
    Mi si potrà obiettare che effettivamente i caffè provenienti da zone diverse sono diversi anche dal punto di vista organolettico. Ma è anche vero che paesi diversi hanno sviluppato varietà di caffè diverse ed è quindi logico aspettarci diversità di gusto. Questa è una semplificazione del problema ma mi sembra inopportuna una trattazione più approfondita dell’argomento.
    E’ interessante anche il commento di Caffè River è mi chiedo quale sarebbe la risposta del consumatore rispetto ad un “Caturra” brasiliano ed un “Caturra” africano, confrontati con un “Sarcimor” brasiliano ed uno indiano. Infine vorrei citare che oggi siamo in grado di distinguere le varietà dei chicchi di caffé con semplici analisi del DNA.

    Prof. Giorgio Graziosi
    Dipartimento di Scienze della Vita
    Laboratorio di Genomica del caffè
    P.le Valmaura 9 – 34100 Trieste
    Tel 040.811876
    Mail graziosi@units.it
    http://www.coffeeDNA.net

  2. Luigi Odello scrive:

    Sento doveroso un commento all’intervento del prof. Graziosi e mi riprometto di intervenire prossimamente anche sulle idee di quanti stanno animando questo dibattito con considerazioni di grande interesse.
    Al prof. Graziosi desidero solamente precisare che i consumatori, come è stato scritto nell’articolo, hanno saputo discriminare tra una miscela e quattro monorigini in funzione dell’indice globale di preferenza. Per comprendere se la la discriminazione era significativa abbiamo utilizzato ben cinque indici statistici diversi. Non è invece stata messa in evidenza una differenza significativa tra le diverse monorigini.
    La nostra indagine era, come penso si evinca con chiarezza dall’elaborato, di tipo merceologico tra due classi di prodotti che popolano il mercato del caffè. Lungi da noi l’idea di voler caratterizzare le origini con un test sensoriale svolto con consumatori. E forse per primi abbiamo messo in evidenza che l’origine è troppo generica per poterle attribuire caratteristiche sensoriali proprie in grado di distinguere il caffè di una provenienza rispetto a un’altra. Conosciamo bene la tecnica del DNA e ne abbiamo sperimentato anche altre che potrebbero essere interessanti. Ma, ripeto, non era negli obiettivi di questa ricerca individuare l’origine, nè l’avremmo fatto con dei consumatori.