Miscele italiane: solo frutto dell’economia?

di Carlo Odello *

Interessante il dibattito che si sta sviluppando a livello internazionale sul valore della tradizione nel caffè. Il tutto parte da alcune dichiarazioni di Giorgio Milos della Illy rilasciate alla stampa americana. Milos ha dato i voti agli espresso americani e lo ha fatto sottolineando gli errori tecnici che si commettono nella preparazione di tali espresso. Su tutti il sovradosaggio che porta a caffè bruciati.

Nulla di nuovo, avendo Milos fondamentalmente ribadito quanto già noto all’industria del caffè. Non si sono fatte attendere le reazioni del mondo anglosassone, che sono andate ad alimentare il dibattito. Tra le tante risposte la più interessante sinora mi pare quella di James Hoffman, già vincitore del WBC 2007 e oggi imprenditore con una sua torrefazione. Una risposta che, attraverso un diplomatico aplomb britannico, mi pare possa arricchire il dibattito.

C’è un punto particolarmente interessante nelle riflessioni di Hoffman e che vale la pena di riprendere per intero:

Comprendere l’influenza dei fattori economici sulla nascita delle miscele per espresso tradizionali [italiane, ndr], legate alla regolamentazione del prezzo delle bevande, ci rende maggiore ragione della presenza di Robusta o di caffè brasiliani non lavati in queste miscele, più di quanto lo facciano i fattori sensoriali. Con ciò non si intende affermare che alla gente non piacciano miscele di questo tipo, ma è chiaro le preferenze sensoriali non sono state il fattore determinante come si vorrebbe far credere.

Hoffman ci sta dicendo in modo molto diretto che la nostra concezione di espresso come miscela e l’uso di certe origini invece che di altre è l’effetto di situazioni economiche in cui si è fatta di necessità virtù. Ci sta dicendo che senza vincoli economici la nostra sensorialità ci avrebbe portato a preferire caffè diversi. Eppure io non sono convinto che tutto si possa ricondurre semplicemente ai costi del prodotto. Credo che la nostra preferenza per le miscele e la nostra predilezione nell’esplorare l’impiego in esse di caffè di tutto il mondo, compresi i Robusta e i naturali, sia frutto anche dell’innata tendenza degli italiani a ricercare la complessità nella vita. Altrimenti davvero non si spiegherebbe perché nel nostro paese, che pure tra mille difficoltà è ancora la settima economia mondiale, le monorigini, anche quelle di lusso, non riescano a decollare e la miscela vinca ancora alla grande nei test alla cieca.

* Docente e consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè

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8 Commenti a “Miscele italiane: solo frutto dell’economia?”

  1. Rubens Gardelli scrive:

    Può essere che il motivo principale del fatto che i monorigini non decollino stia nella specificità del tipo di estrazione? Ovvero, alcune monorigini si esprimono al meglio non col metodo espresso.

    Dubito fortemente che l’arabica varietà Geisha del microlotto “Esmeralda Special” dell’Hacienda Esmeralda a Panama (attualmente tra i caffè più costosi al mondo) possa dare il suo meglio in espresso!

    E poi non è da sottovalutare l’aspetto culturale e psicologico.
    Qual’è la percentuale di bar sul totale che ad oggi hanno dietro al banco baristi che sanno spiegare i vari monorigini e le loro caratteristiche sensoriali? Quanti bar hanno i monorigini?
    Quanti bar sono “indipendenti” e senza vincoli contrattuali con il torrefattore?
    Quanti torrefattori agevolano e/o promuovono l’utilizzo di monorigini nei locali dei loro clienti?

    Io personalmente sono d’accordo con Hoffman, anche se ritengo che la coltivazione dei Robusta e l’utilizzo del metodo naturale (beneficio secco) sia ecologicamente più sostenibile, fattori da non sottovalutare in un’ecosistema che stiamo piano piano degradando sempre di più.

  2. Carlo Odello scrive:

    @ Rubens: è innegabile che da un punto di vista della preparazione le monorigini richiedano un approccio diverso. Avendo più monorigini, sono necesarri più macinadosatori in un bar e naturalmente si pone il problema della regolazione della temperatura della macchina, che dovrebbe essere differente da gruppo a gruppo secondo la monorigine che si lavora. Però ritengo che la variabile tecnologica in questo caso sia sopravanzata dalla variable sensoriale-culturale, per la quale gli italiani trovano le monorigini comunque troppo poco complesse. Ricordo in particolare un test recente in cui, alla cieca, tra monorigini e miscela, ha vinto quest’ultima. Un mercato delle monorigini potrebbe tuttavia affiancarsi a quello della miscela, forse non al bar, dove effettivamente ci sono problemi tecnici e talvolta anche carenza di professionalità. Più probabilmente nel mercato del monodose, nell’uso quindi anche casalingo volto alla scoperta dell’esotico. Le monorigini quindi come terreno di esplorazione di consumatori avanzati ed evoluti.

  3. Rolando Nicastri scrive:

    Mi intrometto ancora una volta, spero diversamente, egregio signor Carlo oltre a condividere pienamente quanto da Lei affermato nella risposta, mi permetto di aggiungere quanto siano anche interessati i baristi in generale ad un discorso legato alle monorigini così particolari della Esmeralda special, quando si fa fatica a reperire sul mercato il caffè Panama classico durante i dodici mesi dell’anno.- Ritorno a dire quale è lo scopo dei maestri e dei baristi certificati se non quello di elevare la qualità della miscela servita e la formazione della clientela alla qualità del prodotto.-
    Come si fa a pretendere di insegnare ad un bambino delle elementari la materia Universitaria ? Secondo me portandolo gradatamente ad una cultura Universitaria, e così, anche se in modo rude, vedo lo scopo di cultura e formazione degli addetti ai bar.- Ben venga chi pionieristicamente mette a disposizione monorigini di livello, però c’è da chiedersi da chi verranno fornite certe tipologie di caffè, con che criterio diversificato saranno tostate ed infine ma non di meno conto, quale disponibilità (quantità) siamo in grado di garantire ai consumatori.- Avete mai chiesto a qualche consumatore cosa pensa di una tazzina di caffè arabica 100% quando è abituato a bere quello che normalmente i bar servono ? Non parla di aromi ma, di mancanza di corpo e gusto classico Robusta), quando invece dovrebbe essere affascinato dalla aromaticità e dalla delicatezza.- Mi scuso fin da ora per l’intervento
    Saluti.-

  4. Rubens Gardelli scrive:

    In merito alla preferenza dei consumatori alle miscele rispetto ai monorigini,la valutazione viene fatta da consumatori abituati a valutare la “bontà” di un caffè primariamente dal corpo, dalla viscosità al palato e dalla quantità di crema.
    Lo afferma la recente ricerca dell’INEI a Vinitaly.
    Continuo ad affermare e sono pienamente convinto che l’estrazione in espresso non è la più adatta per valutare i monorigini, altrimenti non si spiegherebbe come mai lo standard internazionale studiato da SCAA ha come metodo un’estrazione totalmente diversa.
    Alcuni monorigini sono adatti anche per l’estrazione espresso, ma moltissimi altri no!
    In merito alla possibilità di un mercato dei monorigini in cialde monodose, io non sono d’accordo su questa idea se si vuole promuovere la vera qualità, e metto come motivazioni i caratteri industriali della produzione delle cialde.

    Da quanto tempo è stato tostato-macinato il caffè in quella cialda al momento in cui il consumatore lo apre?

  5. Antonio scrive:

    Mr. Rubens wrote:
    “Alcuni monorigini sono adatti anche per l’estrazione espresso, ma moltissimi altri no!”

    Why not? We can change the characteristic of coffee beans by proper profile of the roasting. Some light roasted single-origin coffees might be light as espresso, but I can roast them little bit darker, and they will change into the sweet espresso. Anyway, I can prepare espresso using any beans. Is it forbidden to make an espresso from mentioned beans of Panama Gesha?

    There is a big gap between London and Firenze. There are different traditions, expectations. Italian coffee market and Italian roasters are much bigger than those in UK. I think, people in London hardly understand Italy and its multi-variable culture. James has to make extraordinary products for his fans: this is his business. Italian roasters have to make blends. This is a good business too, but sometimes also a passion and science, I suppose.

  6. Antonio scrive:

    Dear Carlo,
    In the discussion you have mentioned, it was not James Hoffman from Square Mile Coffee, London, but somebody from USA.

  7. Carlo Odello scrive:

    Antonio, you are wrong, I translated and quoted James Hoffman’s point of view. Just visit the link I provided in the article.

  8. Antonio scrive:

    OK. I have just visited the first link. Of course, the second one points to Jimseven ;). Anyway, his point of view, reflections and job are not bad.