Noi non c’eravamo. È stato un piacere.

Si è registrata un po’ di indignazione per l’articolo di Massimiliano Tonelli pubblicato su La Repubblica di oggi. A cominciare dal titolo, per poi passare all’occhiello e infine al testo. In genere non interveniamo in questi casi, a maggior  ragione se annoverati tra gli assenti che quindi possono passare per invidiosi. Non interveniamo perché non si fa altro che dare importanza a chi vuole cavalcare una tigre raccogliendo quanto di peggio si può dire su qualcosa. E nel caso specifico l’articolista ha avuto l’appoggio di molti guru pronti a criticare. Con la critica è facile mettersi in mostra, con proposte costruttive molto meno, anche perché occorre essere davvero preparati.

Questa volta interveniamo perché l’Espresso Italiano (le iniziali maiuscole sono d’obbligo per noi) ha una storia bellissima scritta da stuoli di mastri torrefattori e costruttori di attrezzature, una storia fatta di sacrifici e di genialità, tanto da fare diventare la nostra tazzina un ambasciatore in tutto il mondo. Noi – che con loro ci abbiamo parlato e ci siamo fatti raccontare le loro storie – ci sentiamo di difenderli a spada tratta, di affrontare a loro favore qualsiasi processo, purché a giudicare ci sia gente competente.
E che l’Espresso Italiano abbia necessità di una difesa attiva è indubbio, ma non solo nei confronti di chi eroga una bassa qualità nel nome della tradizione, ma anche di chi fa dell’innovazione, per nescienza o ignoranza, un tradimento della tradizione. Le spremute di limone che ci vengono propinate come specialty non sono il peggio, perché non è raro imbattersi in caffè dal sentore di formaggio, per non parlare di quelli che sanno di frutta marcia venduti come l’ultimo grido della moda.
L’Espresso Italiano vive di un perfetto equilibrio, di una tostatura piena di caffè di qualità, di una barista che sa estrarlo alla perfezione. Lo scorso anno le commissioni dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè (che vanta oltre 12.000 allievi in 40 paesi del mondo) hanno valutato 367 caffè provenienti da 13 paesi secondo le regole scientifiche dell’analisi sensoriale. Caffè buoni anche dall’estero? Sicuramente sì, ma di certo le miscele italiane hanno avuto un piazzamento altissimo. E noi non parliamo per sentito dire.
 
Luigi Odello

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1 Commento a “Noi non c’eravamo. È stato un piacere.”

  1. Assunta Percuoco scrive:

    Anche io sono rimasta molto amareggiata dall’articolo di Repubblica subito riportato anche da Comunicaffè. Credo che non si possa generalizzare su un prodotto se non si hanno le giuste nozioni in merito. Esistono nel mondo del caffè tantissimi operatori che lavorano il caffè in maniera eccellente ed altri che, purtroppo, credono che riempire un braccetto e premere un pulsante sia sufficiente per servire un caffè espresso. Questo però succede anche in altri settori che magari non vengono citati perchè “non fanno rumore” come il settore del caffè espresso.
    Le aziende serie che lavorano origini di prima qualità ci sono e ci saranno sempre, basta cercarle.
    In quella che si definisce la patria del caffè, parlo della città di Trieste, mi è capitato di bere un pessimo caffè in un locale STORICO ed un ottimo caffè in un locale meno rinomato.
    Ma bistrattare in questo modo il mondo del caffè espresso non mi sembra corretto. Tantissimi operatori seri difendono il loro operato e servono oggi, hanno servito in passato e serviranno in futuro UN OTTIMO ESPRESSO.
    Oggi ci sono tanti corsi professionali per imparare e quindi chi ha voglia di mettersi in gioco può frequentarli e diventare un ottimo operatore.
    Viva il vero Espresso Italiano!!!!