Perché sono importanti i carboidrati per il caffè?

Se è vero che le maggioranze vanno rispettate, non si può fare a meno di cominciare a descrivere la composizione del caffè trattando dei carboidrati, perché rappresentano, sul secco, circa il 50% del suo peso. Siccome portano immediatamente alla mente gli zuccheri, a qualcuno sarà venuto in mente che il chicco di caffè verde sia dolcissimo, quasi una caramella. Invece così non è, perché la massa dei carboidrati è costituita dai polisaccaridi che, tra le loro virtù, non hanno quella di accarezzare il nostro sistema gustativo, quanto piuttosto, volendo fare un balzo per considerare il caffè in tazza, la nostra sensibilità tattile.
I carboidrati più rappresentati nel caffè sono l’arabinogalattano, il mannano e la cellulosa (circa il 5%), ma troviamo presenti in piccole percentuali il raffinosio e lo stachiosio. In questo caso tra Arabica e Robusta non c’è molta differenza, salvo il fatto che la seconda ha circa il 3% di arabinogalattano in più rispetto alla prima, a dispetto del nome che farebbe giurare chi va per logica che ne abbia di più l’Arabica.
Alcuni, oltre a non essere dolci, pare non partecipino più di tanto alla formazione di aromi durante la tostatura, anche se vengono fortemente degradati e i loro derivati condensati vanno ad aumentare il corpo del caffè.
Nel verde esistono comunque anche zuccheri più semplici (7-10%), alcuni dei quali sono dotati di sapore dolce. Peccato che durante la tostatura molti convolino a nozze con composti azotati o vengano comunque demoliti, altrimenti anche i palati più inclini al dolce e avversi all’amaro potrebbero evitare di edulcorare il caffè.
Tra gli zuccheri più semplici troviamo dimeri e monomeri. Tra i primi il più importante è il saccarosio, che nasce dal matrimonio tra glucosio (destrosio) e fruttosio (levulosio). Nel caffè verde il glucosio supera di quasi dieci volte il partner (0,18%, contro lo 0,02%), ma entrambi, durante la tostatura, si originano nuovamente anche dal saccarosio. Gli altri monomeri presenti sono galattosio, mannosio e arabinosio, prezioso indicatore dello stato di maturità dei frutti.

Correlazioni tecnologiche e termocomportamento
I polisaccaridi strutturali (quelli come la cellulosa, che conferiscono al chicco la straordinaria intelaiatura) sono relativamente stabili durante la torrefazione, pur riducendo il loro grado di polimerizzazione, mentre il saccarosio inizia a decomporsi già a 130°C, formando sostanze coloranti e scindendosi nei suoi due costituenti di base (glucosio e fruttosio). A tostature leggere ne scompare il 90%, a tostature forti non si rileva più.
Galattosio, mannosio e glucosio si rilevano ancora dopo la tostatura, mentre l’arabinosio è il più termolabile. Se ne perde infatti circa il 60%, contro una perdita dal 20 al 35% del mannosio, del 30% del galattosio e del 10% del glucosio. Il mannosio ha una riduzione abbastanza lineare con la cottura del chicco, mentre gli altri due si riducono fortemente all’inizio e poi si stabilizzano.

Effetti sensoriali
Sotto il profilo visivo i carboidrati sono largamente responsabili, complici i composti azotati, della formazione di melanoidine (acidi umici) che donano colore sia al chicco, sia al caffè bevanda, al quale contribuisce anche il caramello che si forma per polimerizzazione del saccarosio e derivati.
Ma è dal punto di vista olfattivo che i carboidrati giocano un ruolo di primo piano: dalla pirolisi si generano furani, alcoli, acidi e chetoni. Già questo sarebbe molto, ma c’è di più: la reazione con composti azotati genera piridine, pirazine e pirroli. Insomma: buona parte dell’aroma del caffè.
Per quanto riguarda il tatto, ai polisaccaridi, soprattutto a quelli molto polimerizzati, va reso il merito di contribuire in modo notevole a donare corpo e setosità alla bevanda. E sotto l’aspetto gustativo un po’ di dolce lo apportano, anche se alcuni di loro, trasformati dal calore, cedono alla tentazione dell’amaro.

Luigi Odello

Da Espresso Italiano Roasting (Centro Studi Assaggiatori)
shop.assaggiatori.com

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