Perfetto non è ristretto

di Manuel Terzi *

Spesso, girando per bar e caffetterie alla ricerca del Sacro Graal – ossia quello che può essere considerato un espresso realizzato a regola d’arte, un espresso per così dire perfetto – molto più frequentemente si incorre invece in bevande che già hanno poco o niente in comune con un espresso, figurarsi poi con l’espresso perfetto. Il problema che si verifica è che, per rimediare a quegli espresso serviti nei nostri bar, lunghi fino quasi a colmare la tazzina, la soluzione ideale parrebbe per molti ordinare un caffè ristretto.

Premettendo doverosamente che un espresso è una bevanda polifasica e come tale necessita di vari passaggi prima di raggiungere lo stadio finale, conveniamo nel dire che tutti questi step hanno la loro importanza e dunque nessuno può essere tralasciato. Un espresso deve innanzitutto essere preparato con caffè per espresso torrefatto e macinato, deve essere eseguito con una macchina per caffè espresso impostata in modo accurato, con una determinata pressione in caldaia, una precisa pressione alla pompa, un certo equilibrio termico e, infine, deve essere ottenuto in un tempo variabile intorno ai 25 secondi, con circa 7 grammi di miscela per avere circa 25 milliltri in tazza.

Chiariti questi presupposti, quindi, avendo una certa miscela per espresso, creata e realizzata a regola d’arte, tale cioè che celi al suo interno il mitico espresso perfetto, sarà possibile ottenerlo solo se tutte le tecniche e i passaggi saranno rispettati da chi ci serve il caffè, altrimenti, anche con il conforto delle prove di analisi sensoriale che possiamo condurre, uscendo dai suddetti parametri, l’espresso ottenuto non potrà essere altrettanto perfetto.

Purtroppo, deducendo dall’esperienza degli assaggi che quotidianamente facciamo, le nostre aspettative vengono deluse continuamente. Se, infatti, viene messa a punto una miscela e da essa si cercherà di ottenere in tazza il miglior espresso possibile, si arriverà a un eccellente risultato soltanto con una specifica impostazione delle macchine e con una quantità fissa in grammi di espresso. Se, invece, con le stesse impostazioni si andrà a farne un caffè ristretto, si otterrà decisamente un risultato meno aggraziato e meno armonico. E lo stesso principio varrà per tutte le miscele prodotte, ciascuna con le sue diverse ottimali impostazioni.

Non è dunque scontato che la perfezione preparata ristretta sia più perfetta, anzi! E’ risaputo che in un caffè ristretto ciò che aumenta è l’intensità, ma non è altrettanto certo che possano accrescere sempre la dolcezza, così come l’eleganza e l’aromaticità. Piuttosto però di essere costretti a bere certi caffè lunghi e acquosi – come se ne trovano in giro – e magari anche stucchevolmente zuccherati, allora per limitare i danni forse è da preferirsi un caffè ristretto.

Tutto questo discorso regge, però, soltanto se non vi è alla base un problema di definizioni: se infatti al barista viene richiesto un espresso e ciò che viene servito è un caffè di 40 ml perché lui è convinto che l’espresso vada fatto in quella quantità, mentre chiedendoglielo ristretto si ottiene un caffè della giusta misura, allora, di fondo, non combacia la definizione che si ha di un espresso.

Forse, quello che si dovrebbe fare non è tanto togliere i sintomi di un male diffuso, ossia ordinare al bar un ristretto, ma cercare di rimuovere le cause di questo temibile virus diffondendo maggiormente la cultura e la conoscenza dell’espresso. Confidare di rimettere a posto un espresso malestratto semplicemente ordinandolo ristretto, risulta essere una speranza piuttosto vana. Probabilmente quell’espresso, anche se portato a 25 ml, perfetto non lo sarà ancora. 

* Barista di lungo corso e produttore di caffè torrefatto da quasi una decina d’anni, si occupa a tempo pieno di consulenza e di formazione, anche per Aibes, per istituti alberghieri e per l’Ascom di Bologna. Alla continua ricerca del caffè che emozioni, ha vinto con la sua Miscela Terzi n.1 la medaglia d’oro all’International Coffee Tasting 2008.

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13 Commenti a “Perfetto non è ristretto”

  1. Rolando Nicastri scrive:

    Egregio Signor Terzi ho letto i suoi interventi fino ad oggi, mi permetta di dissentire dalla sua comunicazione nel senso che riesco a condividere le difettosità del settore bar, mi è difficile non dico impossibile riuscire a condividere le enunciazioni ed i rimedi.- Vede io ho preso la patente di assaggiatore nel 1999 ed eravamo circa mille, oggi penso che grazie anche ai corsi esteri saremo 7/8 mila, in questo lasso di tempo ho lavorato sempre nel mondo del caffè, come produzione, e Le confesso che far capire a chi si confronta con noi, quale sia la differenza fra ciò che è e quello che dovrebbe essere, troviamo grosse difficoltà affrontando l’argomento a morsi e bocconi, non oso pensare che effetto possa avere in un barista che serve la clientela con quella “brodaglia” nera volergli far capire l’errore parlando in modo da gourmet.- Ho sempre ritenuto che si possa arrivare a far capire le cose insegnando, formando ed informando quindi necessità di tempo, costanza ed insistenza.-
    Parlare di punto in bianco non del corpo della bevanda, ma della perfezione della corposità, non parlandogli del Santos e delle varie tipologie di Santos ma, del Captain cook che con la sua produzione non si potrebbe soddisfare l’assaggio di un chicco a barista, ecco questo mi sembra un modo di porsi riservato al top ma, non alla maggioranza.- Concludendo dovremmo, forse, parlare più la loro che non la nostra lingua.- Stimatamente Rolando

  2. RUbens Gardelli scrive:

    Condivisibile tutto ciò che Manuel Terzi ha scritto.
    Io mi permetto di aggiungere che all’interno di una tazzina di espresso ristretto, estratto correttamente, troviamo tutte le parti nobili che troviamo in una tazzina di espresso “classico” (25ml).
    I clienti abituali di una caffetteria che hanno avuto modo di assaggiare l’espresso “classico” ma che continuano a richiederlo ristretto (o basso) probabilmente hanno tra le motivazioni l’esigenza di avvertire nel palato maggiore viscosità e corposità, oppure di ingerire meno caffeina possibile.

    Rubens Gardelli
    Caffetteria Santa Fè
    Forlì

  3. manuel terzi scrive:

    Gentili Signori Rolando e Rubens, grazie per le vostre risposte ed i vostri commenti.

    E’ vero, concordo pienamente con quanto dite. Ricordo un mio professore di chimica che diceva:
    “… per misurare dei meloni non posso usare dei meloni, se no l’errore rischia di essere troppo grande. Per misurare dei meloni dovrò usare ciliegie, solo così potrò avere una buona approssimazione.”
    E’ una bella logica, no?

    In pratica non posso sperare di andare in Cina a spiegare ai cinesi l’Espresso in dialetto bolognese: ben pochi, con un particolare (non un migliore, ma UN DETERMINATO) background socio-culturale mi capirebbero.
    Quindi sarebbe lavoro poco produttivo.
    Concordo pienamente con quanto dite, al punto che anch’io faccio lo stesso quando tengo corsi, consulenze, o affiancamenti.
    E mi rendo conto che il nostro povero Espresso (in Italia) è al momento pressochè sconosciuto, mal interpretato, mal recepito, e sottovalutato.
    E guardo il Vino, e guardo il Whisky, la Grappa e guardo il Cognac, l’Armagnac, i Sigari, e mi esalto!
    Poi guardo il nostro amato Espresso e mi cascano le… spalle. E mi domando: cosa gli manca?
    Ripenso a quando studiavo e degustavo Vino, Whisky, Cognac, e ricordo reggimenti di avvocati e commercialisti, ma anche benestanti nullafacenti, ed ancora agiati professionisti ed imprenditori che si avvicinavano come scolaretti ai banchi per studiare e capire, e per poter dare sfoggio a cena con il fortunato/la fortunata di turno, ma anche per dare manifestazione di savoir vivre in contesti socio-cultural-professionali più ampi.
    E allora mi sono a lungo domandato: perché il nostro Espresso no?
    Perché il professionista al ristorante degusta, abbina e se necessario contesta e rifiuta il Vino se ha difetti, mentre lo stesso al banco di una caffetteria accetta passivamente, e sommessamente BEVE anche l’Espresso più terribile?
    E perché gli stessi professionisti opinion leader di noi masse “snobbano” l’Espresso?
    Semplice: perché non lo ritengono sufficientemente accreditante il loro ruolo di opinion leader.
    Perché pensano che l’Espresso sia scontato ed omologato, e sia “deculturale” perché non se ne percepiscono la importanza e la sacralità, a differenza del Vino, del Whisky, del Sigaro, del Cioccolato e così via…
    Allora sono d’accordissimo di parlare la lingua dei cinesi in Cina, ma prima devi metterli nelle migliori condizioni di “ricezione”.
    Cioè se ti capiscono, ma non hanno voglia di ascoltarti, a poco serve parlare la loro lingua, no?
    Finchè non si ingenera il bisogno di approfondire la cultura dell’Espresso negli addetti ai lavori, MA ANCOR PRIMA NEI CONSUMATORI (che generano quella famosa “domanda di mercato” che può generare e GENERA offerta e soprattutto concorrenza e quindi offerta qualificata), non si potrà sperare di destare l’attenzione di noi poveri baristi. Finchè avvocati, commercialisti, medici, notai, professionisti, imprenditori, ecc… non percepiscono l’Espresso come sacro, nobile, alto, culturale ed elevato, non lo richiederanno mai come tale ai baristi. E i baristi non percepiranno la necessità di qualificarsi per servire un prodotto ritenuto standard e qualificato. Un prodotto “normale”.
    Ma se io riesco a conferire all’Espresso la sacralità che può avere e che (secondo me) gli spetta e se riesco a renderla credibile e percepibile ai consumatori, dopo ci penseranno loro a chiederla ai baristi!
    Come una volta si chiedeva “un mezzo di bianco” ed ora si chiede vitigno, vendemmia, terroir e vinificazione.

    Per la mia piccola esperienza, trovo spesso più produttivo fare lavaggio del cervello ai baristi sul tornaconto ECONOMICO dell’applicare la migliore tecnica alla macchina per minor spreco e per ottimizzazione della quantità di prodotto utilizzato. Questo lo ascoltano! Per sopravvivere.
    Ma se io riesco a trasmettere ai consumatori la sacralità, la gaudenza e l’edonismo di un prodotto che di per sé è già sacro e nobile (e al momento in quanto tale elitario e per pochi), dopo ci pensano loro a voler approfondirne la cultura e gli aspetti meno “basic”. Richiedendoli.
    Ed il mercato si dovrà adeguare, per soddisfare un nuovo bisogno creatosi nella clientela.
    Esattamente come una volta i negozi vendevano candele steariche, mentre gli stessi negozi ora vendono batterie al Litio per indispensabili cellulari dei quali abbiamo fatto a meno per milioni di anni.

    Infine, concordo che l’Espresso in quanto rituale edonico gaudente primariamente deve dare godimento a chi lo pratica; quindi se il cliente lo preferisce ristretto, pur non condividendone punti di vista (ma senza evidenziarlo), verrà servito.

    Ansioso di conoscere i vostri punti di vista.

  4. Rolando Nicastri scrive:

    Gentilissimo Signor Terzi
    Non vorrei essere stato frainteso quindi preciso che la mia non era una critica a prescindere ma, un modo di rendere più vasto il concetto di espresso.-
    Lei ,come, Luigi e Carlo Odello, Alberto Ugolini, persone quest’ultime che ho avuto il piacere di conoscere personalmente, per quella che è stata la mia attività in ambito caffeicolo, porta e portate avanti concetti e realtà di massimo rispetto, quello che però mi ha indotto ad esprimermi è che sarei curioso di vedere quanti dei 7/8000 patentati sono veramente in grado di recepire le Sue inconfutabili esternazioni.- Peggio ancora se, come Lei dice, ci dovessimo rivolgere alla platea dei consumatori, vede essere direttamente o indirettamente a contatto con baristi e non (consumatori curiosi di sapere, scolaresche) ci dà o meglio mi ha dato modo di vivere e verificare quello che voleva essere il senso del mio intervento.- Ho svolto attività in Azienda certificata e punto formativo IIAC-INEI e quale responsabile di produzione, ho avuto modo di illustrare il mondo del caffè (in modo pratico e non didattico) a coloro (baristi e non) che volevano vivere il mondo del caffè, orbene quello che ne risulta è incredibile, ho trovato addetti ai lavori che alla vista del caffè crudo si sono meravigliati del suo colore verde, crema, giallognolo, credevano che la Tostatura non fosse la causa del colore tonaca di frate, incredibile per alcuni che una miscela potesse essere composta da 7/8 monotipi diversi, che la tostatura non fosse uguale per tutti i monotipi, spiegare il perché dell’utilizzo di certi imballi e gli effetti dell’aria (ossigeno) sul prodotto lavorato e quello macinato nel macinadosatore.- Lei magari mi dirà che questi sono casi limite io Le rispondo che il mio non breve vissuto nel mondo del caffè mi fa purtroppo affermare il contrario.- Sapesse, ma certo lo saprà, quale è la soddisfazione che provo quando parlando con certe casalinghe si va a cadere nel caffè della moka e dopo aver evidenziato e motivato i loro errori nella preparazione del caffè casalingo, le invito a seguire la procedura che dovrebbe essere seguita con criterio caffeicolo ed a farmi poi sapere, la soddisfazione è essere chiamati e ringraziati per aver reso la bevanda non un abitudine ma, quasi un rito, al di là della miscela usata e dei consigli erroneamente ricevuti a conservare la miscela in frigo !!.- Le ho voluto esprimere così il senso del mio intervento rivolto al linguaggio diverso di coloro che sono increduli delle Sue affermazioni, perché privi delle basi di quello che, “purtroppo”, è il loro lavoro, e la seconda parte della Sua risposta mi sembra che ne convenga che evidenzi questa diversità quando il mercato non obbliga a arricchire la propria professionalità, Lei sa meglio di me che certa pubblicità deroga da ciò che Lei invece giustamente afferma, lavoro perché mestiere comporta almeno sapere e conoscere.- Cordialmente Rolando

  5. luigi odello scrive:

    E’ bello questo dibattito. Perchè mi pare che si stia cercando ansiosamente una soluzione. Da questo punto di vista concordo con Manuel su molto, ma in particolare su un punto: sui banchi di scuola dei sommelier ci sono andati prima gli avvocati, i commercialisti e i medici e poi i baristi e ristoratori. Quando una trentina di anni fa andavo a fare lezioni ai corsi per sommelier nella sezione pomeridiana riservata agli addetti ai pubblici esercizi trovavo una ventina di persone, a quella serale trovavo 50 appassionati. Ed erano attenti e talmente interessati che la lezione si protraeva ben più del previsto. Queste persone il giorno dopo erano in giro per ristoranti ed enoteche come dei mastini, pronti ad azzannare chiunque tentasse di violare i loro sacri diritti di consumatori sapienti.
    Nel caffè, nonostante i 7.500 iscritti a matricola dello Iiac, questo non è ancora successo. Ma fiuto che il momento non è lontano. Sono sempre più i nostri allievi che hanno il Master in Analisi Sensoriale e Scienza del Caffè e lo esercitano nei loro pubblici esercizi, anche organizzando corsi e serate per i loro clienti. Sono intelligenti, perché credo che non ci sia un mezzo migliore per fidelizzare la clientela e portarne via agli altri quattro bar che ci sono sulla stessa piazza. Parallelamente ci sarà una selezione dei torrefattori che ameranno questi ambasciatori e quelli che dovranno temerli. Perché non c’è nulla di meglio per chi sa produrre qualità di un consumatore sapiente e nulla di peggio per chi pensa che per vendere caffè la qualità non sia necessaria.
    Dei primi ne avremo sentore anche al prossimo International Coffee Tasting: ai concorsi si presentano solamente quelli che alla qualità ci tengono, gli altri se ne stanno a casa.
    Un’ultima annotazione: se una miscela viene progettata per dare il meglio a 25 ml a 15 non lo può dare, a 35 nemmeno. Altrimenti dovrebbe indicarlo sul pacchetto: da estrarre tot millitri in tot secondi. La regola dei 25 millilitri è valida perché si presume che le miscele vengano progettate per questa dose tradizionale.

  6. Alberto Cobianchi scrive:

    Egregio Sig. Terzi,
    Io sono un barman da quattro anni in un locale di proprietà della mia famiglia. Ho seguito diversi corsi per poter apprendere come gestire al meglio il mio lavoro presso il Centro Studi Assaggiatori di Brescia e loro stessi mi hanno insegnato a giudicare un prodotto attraverso la QUALITA’ SENSORIALE.
    Al giorno d’oggi manca la PROFESSIONALITA’, la passione per il proprio lavoro e soprattutto la FORMAZIONE. Infatti se un barman è preparato come si deve, sa svolgere bene il suo compito, riesce ad ottenere una bevanda perfetta, anche se la perfezione in assoluto non esiste.
    Tuttavia per ottenere la “perfezione” occorre seguire la regola delle 4 M, una delle quali è certamente la qualità della miscela.
    Sul mercato purtroppo esistono prodotti che danneggiano la qualità dell’espresso. In tanti locali si tiene in maggior conto il prezzo della miscela usata, a scapito della bontà del prodotto. Purtroppo ci sono troppi interessi; molti torrefattori se la prendono con i baristi, ma loro stessi sono i primi ad immettere sul mercato prodotti di scarsa qualità. Mi sento a questo punto di sottolineare che la filiera del caffè non è tutelata.
    Secondo il mio punto di vista la soluzione del problema sta nella collaborazione tra torrefazioni e locali.
    Ma il CONSUMATORE E’ TUTELATO e VUOLE ESSERE TUTELATO?
    Secondo me, ben pochi hanno la “cultura dell’espresso”, sta dunque a noi insegnare ad apprezzare la qualità della bevanda.

  7. manuel terzi scrive:

    Caspita Luigi, un tuo intervento!
    Ne sono onorato.

    Riguardo il seguente:
    Gentile Sig. Alberto, grazie per il suo intervento, che condivido en plein, per quanto riguarda le sue affermazioni.
    Fino alle sue fatidiche domande.

    Prima risposta:
    Secondo me il consumatore non è per nulla tutelato riguardo l’Espresso oggi in Italia.

    Seconda risposta alla domanda:
    Vuole esserlo?

    Lei, Sig. Alberto è contento di pagare tra tasse, imposte, accise, oneri comunali, ecc. più del 50% del Suo utile?
    Non credo, ma il problema tra persone intelligenti e dotate di senso pratico non si pone perchè alternative (nella legalità) non ve ne sono.
    Si cadrebbe nelle chiacchiere da… bar.
    Quindi la realtà è una e una sola.
    A Bologna si dice:
    “Vlì murìr Nunnèn?” (Siete contento di morire, Nonno?)…

    Ma se ci fossero alternative? Cambierebbe la cosa?
    Eccome secondo me!
    Fino a che il consumatore non percepisce alternative, fino a che il consumatore non riconosce una persona, ente, associazione, club, corporazione, insomma un chicchessia degno della sua fiducia e latore di più alte, credibili e accreditate verità,
    fino ad allora la questione non la si potrà porre.
    Dobbiamo noi operatori del comparto far capire che il consumatore ha la possibiltà di essere tutelato, e comunicargli che esiste un luogo ove il defraudato consumatore può a buon titolo riporre la sua fiducia, e da qui creare il bisogno di crescita e di cultura che il consumatore dovrà iniziare a richiederci.
    E starà a noi servirlo.
    Saluti, buon lavoro.

    Manuel

  8. Angelo Gregio scrive:

    Buongiorno Manuel, leggo con attenzione i tuoi interventi e ne rimango sempre soddisfatto perché mi permettono di cogliere sempre nuove informazioni per migliorare il mio lavoro di barista.
    Vorrei focalizzare l’attenzione su un particolare che hai menzionato ma che purtroppo, non sempre viene tenuto in dovuta considerazione: la tazza.
    In molti bar in cui ho lavorato mi sono trovato ad usare tazze da 70 ml. Dopo aver eseguito tutti i passaggi, compreso l’utilizzo del misurino per la dose, al momento della presentazione dell’espresso, che secondo me era corretto tecnicamente, mi veniva richiesto di alzarlo un po’ perchè considerato troppo basso. Anche dopo aver spiegato che l’espresso risultava, magari all’occhio, troppo ristretto a causa della capienza della tazza, continuavano a chiederlo più lungo.
    Dopo aver passato alcune mattinate a ribadire ai clienti e ai miei titolari che avevo solo rispettato le “regole” per fare un buon espresso e che nonostante l’aspetto ciò che contava era il contenuto, senza alcun esito positivo, ho iniziato a fare un caffè difettoso. La dose che visivamente accontentava il cliente era sui 30/32 ml.
    L’errore l’ho riscontrato in molti bar della zona e parlando con un fornitore di attrezzatura , mi ha spiegato che oggi in commercio la maggior parte delle tazze sono da 70 ml o più e vien da sé che per avere un espresso con le caratteristiche ideali molti chiedano un espresso ristretto.
    Chiaro che per avere un espresso perfetto la tazza è solo un particolare ma oggi nel bar che gestisco utilizzo una tazza da 50 ml e la richiesta di un espresso ristretto è diminuita.
    Cerco di spiegare al cliente il tipo di miscela che uso e le caratteristiche che può trovare nell’espresso che preparo e grazie anche a quello che leggo da voi , non di rado si creano delle piacevoli chiacchierate.
    Con stima ,buon lavoro .
    Gregio Angelo.

  9. Manuel Terzi scrive:

    Salve Angelo, come va? Dove sei ora?

    La tazza è ben più di un particolare, concordo pienamente con te anche che possa “indurre” a produrre Espressi non perfetti.

    Qualche tempo fa abbiamo tenuto un incontro sull’importanza della tazza con le porcellane di un importante produttore italiano. Non era un evento “costruito”, semplicemente dopo un cappello introduttivo, insieme ai presenti abbiamo degustato Espressi in tazza “normale” (ma non oscena) ed in tazza tecnica, valutando tutti insieme se e quali differenze si percepissero. Be’, il risultato è stato clamoroso: percepito praticamente dalla totalità dei partecipanti (soltanto uno non ha percepito differenze all’analisi sensoriale), come puoi leggere al mio sito alla voce novità.

    Ergo, sono assolutamente convinto che la tazza sia assolutamente fondamentale ai fini di un buon Espresso.

    Buon lavoro

    Manuel

  10. Rolando Nicastri scrive:

    Gentilissimi, come vedete Vi rispondo dopo vari giorni e dopo varie riletture, il mio intervento era un confronto e non un scontro, i miei 35 anni di connubio con il mondo caffeicolo non mi permetterebbero un comportamento diverso, riconosco di essermi, forse, immesso in maniera non molto appropriata e di questo chiedo scusa, tengo però a precisare che la mia fede caffeicola e, soprattutto quella dell’azienda, è stata, è, e sarà sempre in funzione della qualità ed il nostro Know How non ha e non deve avere mai tregua, i prodotti agroalimentari sono soggetti a tali e tanti variabili, climatiche, coltivazione, antiparassitari etc. che obbligano, per poter mantenere la qualità, a continui aggiornamenti.-
    La mia era una visione, credo, più realistica e vicina alla attuale situazione dei consumatori, impreparati e non molto sollecitati ad apprezzare veramente la bevanda caffè.-
    Signor Luigi il giorno in cui certe torrefazioni dovranno abbandonare per manifesta incapacità a produrre almeno un buon caffè, sarà sempre, per me, un ritardo.- Auguri agli allievi Master per una “pulizia” del settore, che però trova difficoltà anche nel combattere, solo in Italia, con tre modi di cultura prodotto, Nord tostatura più morbida, Centro più corposa, Sud intensa, e pensare come è corta l’ Italia rispetto al resto.-
    Ah prima del saluto, nei miei anni sono riuscito, non da solo a far produrre 11 bacche ad una pianta di caffè e, questo credo possa dimostrare quanto sia il mio amore e rispetto per il mondo caffè.-
    Cordialmente saluto Rolando

  11. Angelo Gregio scrive:

    Ciao Manuel, sto bene .Ho coronato il sogno di aprire un bar e questo mi rende concentrato e felice.Approfitto per invitarti quando passi da Rimini a prendere un espresso . Qualche consiglio mi sa che te lo strappo.
    Grazie e buon lavoro.

  12. Antonio scrive:

    Dear All,
    It will be good to know what is going on with Italian espresso. I can imagine, the discussion above is very interesting, but my Italian is still “come ristrettissimo” ;). Please, translate your voices.
    Saluti, A.

  13. Alberto scrive:

    Caro Manuel,

    il problema della tutela dei consumatori è importantissimo, ma finché ci saranno torrefazioni disposte a foraggiare i baristi con comodati d’uso d’attrezzature, insegne, salviette e paraphernalia varia, cosa finirà in tazzina – fatto strapagare, peraltro – non importerà granché ai baristi.
    Il pubblico si convincerà che quello è il medio sapore di un espresso, e vi si adeguerà, senza creare quei presupposti d’attenzione e ricerca che dovrebbero essere propri di un consumatore esigente, o quantomeno attento. Questa è un’altra motivazione che fa spesso chiedere un ristretto: devo berlo perché ho bisogno di un espresso, ma basta one shot, pago ed esco, fino al prossimo.
    I baristi illuminati sono pochi, e lo sappiamo entrambi, dato che io sono un Torrefattore all’antica, tu un fornitore di Cru e Miscele da te selezionati con cura, e per te tostati da mani esperte, ma qualcuno c’è, che bussa alle nostre porte, animato da curiosità e voglia di sapere di più.
    Io sostengo che le attrezzature fanno parte dei cespiti di un’azienda, e possedendole si risparmia sul costo del Caffè. Nessuna torrefazione foraggiante regala niente, ma si rifà sul costo delle forniture. Risultato: vincoli contrattuali spesso lunghi, qualità medio bassa in genere, prezzi elevati, scarsa cura nella preparazione ed estrazione dell’espresso per disinteresse degli operatori di macchina. Sappiatele queste cose, Signori… i cani, con la salsiccia non li ha mai legati nessuno. Ovviamente in questo putrido rapporto, in cui il prodotto Caffè è mercificato in luogo di una corsa a chi “offre” il maggior numero di vantaggi ed attrezzature, il barista se ne frega del volume in tazzina, dell’origine, della conservazione. In un bar con lo scudetto INEI, comunque, i sacchettoni da 1 kg di tostato erano comodamente parcheggiati addosso alla macchina da espresso…quindi la certificazione, come mi è capitato di scrivere altrove, la farei prima ai cervelli, poi a tutto il resto.
    Concordo con il detto “mestiere è sapere”, peccato sia sempre più raro nella quotidianità.

    Saluti, e non ristretti!