Quel cattivone del Robusta

 di Carlo Odello
(consigliere e docente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè)

Più di una volta facendo assaggiare un caffè con un’alta percentuale di chicchi immaturi, alla domanda di cosa si tratti, la risposta è quasi invariabilmente: Robusta. Probabilmente a trarre in inganno sono l’amarezza eccessiva, la sua parte vegetale e l’astringenza, ma in fin dei conti ci sarebbero alcuni buoni motivi per scagionare il Robusta. E invece no, l’interlocutore appena sente un caffè che non lo convince ti guarda e dice: Robusta.

Poiché un approccio sensoriale non aiuta a comprendere compiutamente questo atteggiamento censore e colpevolista nei confronti del Robusta, mi sono domandato quale modello possa spiegare questa avversione. Forse ci può venire in aiuto la teoria della fiaba elaborata dal linguista e antropologo russo Propp. Questo studioso si è dedicato alle fiabe per una vita. In breve, si è domandato quali fossero gli elementi chiave di una fiaba e tra i tanti ha evidenziato come vi siano sempre un eroe e un antagonista. Il buono e il cattivo.

Nella fiaba del caffè l’eroe è l’Arabica, l’antagonista, il cattivo, è il Robusta. Se vi piace, potete immaginare la situazione anche come un western in cui la prima è lo sceriffo e la seconda è il bandito, quello che nei finali migliori finisce steso a terra con un pallottola nel cuore. Poco importa che vi siano Robusta decisamente migliori di alcuni Arabica. Recentemente, per fare un esempio, ho assaggiato un India Cherry in Corea decisamente interessante e ancora più recentemente un India Parchment in Italia che dà i punti a molti Arabica come pulizia del profilo (e costa anche di più).

Ma il mondo ha bisogno di cattivi. E anni di 100% Arabica ne ha confezionato uno davvero perfetto: il Robusta. Il fatto curioso è la cultura nordamericana nel caffè, dopo anni di caccia alle streghe, sta riscoprendo i buoni Robusta. Pentimento tardivo o ricerca di nuove opportunità di business? Questo non saprebbe dircelo neanche Propp.

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