Trovato l’antidoto alla miscela segreta

di Carlo Odello
(Consigliere e docente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè)

"Non impedir lo suo fatale andare: / Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare". Il Virgilio di Dante si esprimeva in questo modo per spianare la via al sommo poeta: così è stato stabilito, non domandare di più. Ma questo potrebbe sembrare anche l’atteggiamento di un certo numero di torrefattori italiani alla domanda: cosa c’è nel sacchetto? La regola della ricetta segreta, del non rivelare neppure le origini in alcuni casi, è negli ultimi tempi al centro di dibattiti sempre più accesi (vedasi la discussione avviata da Davide Cobelli su Facebook).

Chi scrive ne ha parlato a sua volta sia su CT che su riviste di settore, e persino in privato con alcuni torrefattori sensibili al tema. Il rischio è forte per l’immagine dell’espresso italiano nel mondo: all’estero è infatti spesso pratica comune dichiarare i caffè utilizzati in miscela e talvolta la loro percentuale (per arrivare sino a dettagli che però appartengono al regno del marketing fuffoso più che a quello dell’informazione reale e utile). Insomma, sedendovi di fronte a un operatore straniero questo potrebbe facilmente chiedervi cosa c’è in miscela. E non rispondergli potrebbe risultare controproducente per la propria immagine perché, si sa, talvolta il silenzio può essere assordante.

Ora però è interessante, come in tutti i contenziosi che si rispettino, ascoltare anche l’altra campana, quella dei sostenitori della segretezza. Ci sono qui due motivi principali per non dichiarare cosa c’è nel sacchetto. Uno è ovviamente non volere rivelare che il caffè che c’è dentro vale molto meno di quanto si vuol fare credere. E qui, per tornare a Dante, le porte del suo inferno sono aperte e possiamo supporre che l’ottavo cerchio, quello dedicato ai fraudolenti, sia quello che potrebbe ospitare questi torrefattori.

Poi però c’è chi invece dichiara di non rivelare la ricetta perché teme che questa venga usata contro di lui dalla concorrenza. La tesi è più o meno questa: i miei concorrenti andranno dai miei clienti attuali o prospettivi e useranno questa informazione contro di me. Cioè si parte dal presupposto che i baristi, o gli acquirenti in generale, siano così ignoranti da non riuscire a giudicare in modo indipendente il prodotto. "La donna è mobile qual piuma al vento, muta d’accento e di pensiero", canta il Duca di Mantova nel Rigoletto verdiano. E il barista potrebbe essere altrettanto mobile: questa la paura di alcuni torrefattori, quindi meglio tacere che dare armi al nemico.

Per questi ultimi torrefattori non è dato sapere in quale cornice del Purgatorio sarebbe stati posti da Dante, ma c’è una bella notizia: con adeguata formazione è possibile insegnare ai baristi, ai propri clienti in generale e alla forza vendita, come distinguere la qualità dalla non qualità. Come assumere un atteggiamento critico per evitare i raggiri del primo venditore che capita nel locale. E soprattutto come trasformarli in partner fedeli e ambasciatori del proprio marchio. Citofonare Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè: siamo sempre aperti.

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