Davidoff, l’espresso che profuma di solubile

di Luigi Odello

Segretario generale dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè, è professore di Analisi sensoriale alle Università di Udine, Verona e Cattolica di Piacenza. E’ inoltre presidente del Centro Studi Assaggiatori e segretario generale dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano. 

Volete farvi un espresso disponendo solo di un po’ di acqua calda? Non vi occorrono attrezzature, basta una tazzina. Ve lo garantisce Davidoff con il suo solubile in elegante confezione.
Se siete rabbrividiti allora preparatevi a essere inclusi nella categoria dei retrogradi, a essere iscritti in quelle liste dei pochi irriducibili che pensando ancora che un espresso debba essere fatto con caffè in grani macinati all’istante e estratti a circa 90°C sotto una pressione intorno ai 9 bar.
Questa semmai è (e potrà essere) la definizione di Espresso Italiano. Senza l’aggettivo – in questo caso qualificante – la parola “espresso” nel mondo è diventata semplicemente sinonimo di caffè corto. Corto quanto? Dipende: nelle catene che lo preparano con il solubile un centinaio di millilitri (4 volte la quantità canonica dell’Espresso Italiano), ma altri potranno essere più parsimoniosi e darvene solo 50. Lo differenziano così dal caffè americano, che può arrivare, nei casi di abbondanza, al quarto di litro. In genere però lo fanno pagare di più. E questo non l’abbiamo ancora capito: risparmiano anche acqua!
La parola “espresso”, anche nel caso sia usata per il solubile, mantiene ancora la sua accezione semantica originaria (caffè preparato al momento), ma sicuramente ne tradisce la sostanza. Con certezza rimane una parola italiana anche quando scritta con alfabeti diversi dal nostro, ma non indica più il prodotto originale. E i primi ad abusarne, per consentire così ad altri di farne scempio, siamo stati proprio noi: quanti sono i caffè italiani macinati che riportano sulla confezione la parola “espresso” scritta bella grande.

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