L’Italia del caffè e la mancata comunicazione

Perché, soprattutto in Italia, la patria dell’espresso, questo prodotto non gode della stessa attenzione del vino? Sostanzialmente perché non ha ancora permeato in modo profondo l’universo di quanti fanno della qualità della vita una filosofia, un emblema che dichiara uno status attraverso competenza, raffinatezza, conoscenza e valore della scoperta. Talvolta la mancanza di narrazione parte dal bar. Siete al bar, sorseggiate un caffè, un espresso fatto davvero bene. Aprite sensi e mente al suo aroma, più vi focalizzate su di esso e più vi colpisce. Cercate con lo sguardo qualche elemento che possa giustificare la piacevole emozione che state provando. Nulla. Vi rivolgete al barista, con cautela, naturalmente: “Di chi è questo caffè?”. Risponde chinandosi faticosamente per prendere un pacco dal mobile che sorregge la macchina e risponde: “Di questa piccola torrefazione”, dice mostrando la confezione. Una domanda del genere rivolta a un ristoratore per un vino poteva costarvi un quarto d’ora di racconto su come l’aveva scoperto, qui purtroppo si è risolta in poche parole.
Si potrebbero usare gli stessi paesi di origine come motore di narrazione. Il caffè viene coltivato in paesi esotici, il cui solo nome ha una capacità evocativa enorme. Basti pensare ad alcune nazioni della fascia tropicale: Brasile, India, Messico, Kenya e tante altre hanno un appeal turistico grandioso che il caffè non sfrutta. Le piantagioni non sono come i vigneti e i centri di lavorazione non sono come le cantine del vino: chi riesce a visitare questi luoghi trova molte volte un’ottima accoglienza umana, ma è costretto a giungervi senza poter contare su proposte strutturate. Non esiste ancora un turismo del caffè, sebbene le potenzialità di questo settore siano enormi.
A proposito di paesi di origine, l’operatore che dovrebbe conoscere i coltivatori del caffè è il crudista, l’intermediario che con modalità diverse consente al caffè verde di raggiungere il torrefattore. Eppure, spesso si scoprono crudisti italiani che fanno da una vita il loro mestiere senza mai essere stati in una piantagione. Fortunatamente ci sono state lodevoli eccezioni, operatori molto attivi nella comunicazione e che hanno persino consegnato alla stampa le loro esperienze dando vita a libri molto belli. La mancanza di narrazione è da imputarsi anche ad alcuni torrefattori italiani che non comunicano oppure quando lo fanno generalizzano, generando nel loro utente false convinzioni.
Per esempio, negli ultimi trent’anni è cresciuta e si è ormai affermata la tendenza a distinguere le miscele in due grandi categorie: quelle composte da sola Arabica e quelle che hanno anche Robusta, inducendo nel consumatore la convinzione che solo le prime possano esprimere l’idea di qualità. Alcuni torrefattori sono restii all’idea di indicare le origini usate nelle loro miscele, talvolta temono di essere copiati dai concorrenti oppure di dare loro un indebito vantaggio competitivo. Questo atteggiamento si risolve in una ennesima opportunità mancata di comunicare con il cliente. I motivi alla base di questa reticenza sono tanti, profondi e antichi. Il mondo della torrefazione, tra le grandi branche delle aziende alimentari, è l’unico che non ha una scuola e quindi la circolazione delle idee è limitata alla base. Esistono gli enologi, i casari e i birrai, ma non i tostatori. A questo si aggiunga che il caffè è stato finora venduto in Italia, in molti casi, non per quello che è, ma come elemento inserito in un pacchetto di servizi al barista. Perdendo la sua centralità, il caffè si è visto relegare a fattore che non deve generare problemi: chiunque al bar deve poter fare un caffè senza incorrere in un risultato visivamente scadente.
Su questo assioma sono costruite decine di miscele che buone non sono, ma sono facili. Fortunatamente ci sono al contrario torrefazioni italiane che non cercano prodotti facili, ma caffè complessi e che narrano con dovizia di particolari e formano i baristi per renderli specialisti, mettendoli in grado di lavorare bene miscele difficili di alta qualità.
In questo contesto ecco che il barista assume un ruolo chiave. Non solo la qualità del caffè in tazza dipende da questa figura in quanto gestore della miscela (fin dalla sua scelta), del macinadosatore e della macchina. Da lui dipende il racconto del caffè, che non è fatto solo di parole, ma anche di un servizio inappuntabile e di un’umanità profonda. La narrazione aumenta il valore della tazzina. E chi se non l’Espresso Italiano Specialist ha il compito di narrare la sua opera? Gli chef vivono con il problema di lavorare distanti dal cliente finale, mentre il barista ha il contatto continuo con i propri clienti; quindi, ha una grande chance per fare apprezzare la sua professionalità migliorando così il proprio status, il prestigio del bar e la soddisfazione del cliente. L’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè (Iiac) ha oggi migliaia di assaggiatori in oltre 40 paesi del mondo che dispongono di un mezzo narrativo straordinario: sanno leggere una tazzina di caffè comunicando agli altri il percepito e quindi hanno la possibilità di stabilire una relazione intima utilizzando il prodotto. Per questo l’Istituto ha creato gli Espresso Italiano Trainer, veri ambasciatori della cultura del caffè capaci di svolgere seminari intriganti per operatori e consumatori.

Luigi Odello

Da Espresso Italiano Specialist (Centro Studi Assaggiatori)
shop.assaggiatori.com

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