Lo vogliamo mettere un limite edonico minimo per il caffè?

L’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Si dice. Stavolta ci torno anch’io, perché il post sulle monodosi supererà le 10.000 visualizzazioni tra news e social e, soprattutto, ha già ricevuto decine di commenti lusinghieri. Ci torno rigorosamente in prima persona per rispondere a una domanda che mi sono fatto: che succederebbe se mettessimo un limite edonico minimo per poter porre caffè in commercio? Già immaginiamo i colpevoli della cattiva qualità avversare la proposta con la classica scusa che il buono è soggettivo, ignorando (perché ignoranti o perché in malafede) che tale David Hume nel XVIII secolo ipotizzò l’esistenza di un bello (quindi anche di un buono) oggettivo, che questa teoria trova recenti dimostrazioni utilizzando l’analisi sensoriale scientifica, che nel corso di 30 anni sono stati formati oltre 13.000 assaggiatori di caffè, che da 25 anni l’Istituto Espresso Italiano qualifica le miscele secondo un metodo sensoriale, che attraverso la correlazione tra l’analisi chimica e la sensoriale oggi conosciamo molto bene le molecole che generano dispiacere. Ah, ecco, i signori che oggi popolano il mercato di un caffè incapace di offrire piacere preferirebbero forse che si ponessero dei limiti chimici perché più oggettivi? Personalmente credo che alcun limite chimico possa competere con una valutazione sensoriale scientifica quando si tratta di determinare il piacere, ma potrei anche accettare la proposta pur di evitare agli utenti finali di dire che a loro il caffè non piace o che non prendono più il caffè perché provoca turbe gastriche e nervosismo. Proprio a questo proposito il master avviato all’Università di Pisa “Scienze sensoriali per un’alimentazione sana e consapevole” sta via via mettendo in luce quanto sia importante il piacere per il raggiungimento di una dieta sana. Eliminare dal commercio prodotti di cattiva qualità corrisponderebbe quindi all’elevazione del benessere sociale.

Luigi Odello

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