Scuola di caffetteria, possibile cortocircuito

di Luigi Odello

Segretario generale dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè, è professore di Analisi sensoriale alle Università di Udine, Verona e Cattolica di Piacenza. E’ inoltre presidente del Centro Studi Assaggiatori e segretario generale dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano. 

Digitando “scuole di caffetteria” su Google si ha la felice sorpresa di trovarsi con oltre 850.000 pagine da consultare. E questo riempie il cuore di gioia, perché significa che qualsiasi barista di buona volontà può trovare un’ampia offerta formativa per aggiornarsi.
Andando un poco più a fondo nella questione si scopre che la maggior parte di queste scuole puntano dritte sull’impiego di caffè in un’ampia gamma di cockatils e di preparazioni decorate, meglio note con il nome di Latte Art. Il caffè è sparito anche dal nome, ma poco male: ci sono momenti della giornata in cui è meglio un preparato a base di caffè rispetto all’espresso tout court. Quindi ben venga che i baristi siano preparati a soddisfare il cliente in ogni sua attesa.
Sul filone si sono buttati anche torrefattori grandi e piccoli che, trovando baristi ingolositi dalla proposta, sono felici di escogitare un modo elegante per portare i baristi in azienda. Ottimo anche questo, ma nessuno ha pensato che molte volte si rivela un cavallo di Troia.
Un conto è infatti ampliare la conoscenza di un barista che è un professionista dell’espresso, che sa scegliere, apprezzare e fare rendere una miscela di alta qualità (gestendo al meglio macinadosatore e macchina, ma anche illustrandola ai clienti). Cosa ben diversa è insegnare a miscelare a qualcuno che maestro dell’espresso non è. In questo caso la miscelazione non serve soltanto a coprire gli errori, ma induce anche al consumo di miscele di sempre minore qualità, che sono anche quelle che hanno la minore redditività, e quindi arreca un danno all’azienda. Ecco il giro vizioso della qualità indotto da un fatto molto semplice: mandare la gente all’università senza che sia passati per il liceo.
E, per quanto ci riguarda, il liceo, quello che dà le basi a un barista, può solo essere la capacità di valutare con i mezzi che gli ha fornito la natura (sensi e cervello) la preparazione dell’espresso e del cappuccino, per scoprire se il suo fornitore lo sta trattando bene, per comprendere se le attrezzature funzionano in modo ottimale, per essere sicuro che la sua manualità sia all’altezza della situazione. All’estero, dove la tradizione è ben inferiore alla nostra, fare capire questo discorso non presenta difficoltà alcuna, in Italia pare invece che siano proprio i torrefattori a volersi fare del male.
E, credo non vi sia necessità di dimostrazione, l’ultima cosa di cui hanno oggi bisogno il settore dei bar e quello dei torrefattori, è di abbassare il livello di qualità. Se il caffè al bar è meno buono di quello dell’ufficio, perché andarci?

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2 Commenti a “Scuola di caffetteria, possibile cortocircuito”

  1. Antonello Monardo scrive:

    Carissimo Luigi Odello, quello che tu scrivi é esatto. Anche stando lontano dall’Italia, noto una certa “evoluzione” (o involuzione) per quanto riguarda scuole di caffetteria. Qui a Brasilia, la settimana scorsa ho organizzato il 27 Corso per Baristi (in poco piú di dua anni). Nei nostri corsi, oltre alla parte teorica, si insegna esclusivamente l’estrazione di un buon caffé espresso e la vaporizzazione del latte. Per quanto riguarda la parte dei drink, posso dire che per una questione sentimentale (sono di Reggio Calabria) faccio questione di insegnare la Granita di Caffé.

  2. chiara scrive:

    cerco corsi ad alba o provincia cuneo