Vi prego, questo no

"Un laboratorio per la produzione di caffè, dove non c’è nemmeno l’ombra di caffè. A Seattle, nella sede della startup Atomo Coffee, una squadra di scienziati ha analizzato i chicchi dal punto di vista chimico e ha individuato i composti da cui derivano colore, aroma e gusto della bevanda che ne viene estratta. Ebbene, questi composti sono presenti anche in altri elementi naturali. Così, dopo più di due anni di lavoro, i ricercatori sono riusciti a creare una “miscela molecolare” praticamente identica (assicurano loro) al caffè: si utilizzano ingredienti riciclati, come gusci di semi di girasole e semi di anguria, che subiscono un processo brevettato fino a riprodurre le tipiche caratteristiche del caffè. Caffeina compresa.”

Così scrive La Repubblica nella sua edizione del 13 maggio scorso.
Non voglio mettere in dubbio che la startup ci sia riuscita, anche se nell’ultimo mezzo secolo di tentativi mal riusciti ne ho visti tanti, ma mi oppongo a qualsiasi pensiero che possa portare a un succedaneo sintetico del caffè. E sono quasi sicuro che le decine di generazioni che hanno accompagnato la sua diffusione abbiano maturato una capacità genetica di distinguere i falsi e di rifiutarli. Come combatto l’idea che il cambiamento climatico debba essere affrontato con l’ansia che non avremo può caffè: magari domani ci troveremo a coltivarlo sulle Langhe dove non ci sarà più l’uva, migrata in Norvegia per scappare dal caldo.
Però, intanto, cerchiamo di concentrarci sulle cose autentiche raggiungendo quella sensibilità nella percezione che ci aiuti a distinguerle.
 
Luigi Odello
 
 

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