Nel 2024 il caffè attende nuove confezioni

Il rispetto dell’ambiente impone nuove confezioni anche per il caffè ma, non bisogna dimenticarlo mai, se c’è una cosa che ha sempre il cliente con sé è il proprio sistema sensoriale con il quale giudica impietosamente qualsiasi evento sotto il profilo del piacere che gli dona o del dispiacere che gli procura. Osservando i prodotti che circolano sul mercato questo non parrebbe vero, ma in realtà, anche quando siamo disattenti, il nostro inconscio è sempre vigile per avvisarci nel caso la proposta possa suonare come minaccia al nostro benessere fisico. È su questa base che poggia la tesi del buono oggettivo preconizzata alcuni secoli fa e oggi sempre più confermata nelle indagini eseguite con metodi innovativi su larga scala. Il caffè non fa eccezione e se la risposta razionale al dispiacere viene generalizzata allontana il consumatore dal prodotto.

Cosa succede al caffè con il passare del tempo
Il caffè non è come il pane che appena sfornato dà il massimo di sé, il caffè appena tostato ha la necessità di ricomporsi, di liberarsi di alcune molecole che non sono foriere di piacere, quindi di un periodo di maturazione più o meno lungo (ma sempre di giorni si tratta) in funzione del tipo di caffè, del tipo di tostatura, della massa, della temperatura e della pressione.
Poi è pronto per il consumo. Si presenta ricco di anidride carbonica, che rappresenta il naturale protettore dall’ossidazione di molte sostanze aromatiche e di costituenti, come i grassi, che a contatto con l’ossigeno potrebbero originare molecole davvero poco piacevoli.
Con il passare del tempo l’anidride carbonica tende a migrare verso l’esterno trascinando altre sostanze, tra cui gli aromi. Il fenomeno è evidente anche visivamente: il caffè suda, è untuosamente lucido. Si tratta ancora dei grassi che, a contatto con l’aria, originano molecole olfattivamente attive di pessimo carattere. Compare il rancido. Ma internamente le cose non vanno meglio: con l’allontanamento dell’anidride carbonica non si ha solamente una perdita di aromi, ma anche un cambio della struttura del chicco e la formazione di perossidi che scaricheranno il loro ossigeno di troppo ancora sulle sostanze aromatiche.
Il risultato appare evidente in tazza in tutta la sua crudezza: in estrazione il caffè “non tiene”, la crema – per quanto possa essere ancora di tessitura fine – si forma in quantità inferiore, al naso è spento con evidente cambio dei profumi, in bocca si rivela di minor corpo e più amaro, lasciando al retrolfatto un giudizio impietoso.

I mezzi per mantenere giovane il caffè rispettando l’ambiente
Fortunatamente il caffè non si può truccare. Se agli umani è concesso di nascondere le rughe, il caffè non può essere aggiunto di additivi di alcun genere, quindi neppure di antiossidanti, fatto salvo gas inerti il cui funzionamento è molte volte inferiore alle attese. Inoltre, il caffè non viaggia con la catena del freddo che, rallentando la liberazione dell’anidride carbonica e riducendo i processi ossidativi, si rivelerebbe di grande utilità. Non rimane che proteggerlo attraverso confezioni opportune che evitino quantomeno l’esposizione alla luce e l’ingresso di ossigeno.
La confezione più utilizzata è il sacchetto in poliaccoppiato munito di valvola unidirezionale che consente la liberazione dell’anidride carbonica quando raggiunge una certa pressione e impedisce all’ossigeno di entrare. Il sacchetto in questione è composto da tre strati:

  • uno esterno costituito da polietilene tereftalato (in sigla Pet), materiale plastico trasparente che evidenzia una buona resistenza al calore e una pari resistenza meccanica, nonché inerzia chimica. Oltre a essere un buon isolante elettrico è impermeabile all’ossigeno e abbastanza all’umidità;
  • uno strato intermedio composto da un foglio micrometrico di alluminio (Al) che non solo impedisce il passaggio della luce, ma genera una barriera totale al passaggio di ossigeno e di acqua;
  • uno strato interno, quello a contatto con il caffè, generato da una resina sintetica prodotta attraverso la polimerizzazione dell’etilene che, fondendo, consente una perfetta sigillatura del sacchetto. È chiamata polietilene, in sigla Pe.

Mettendo insieme le tre sigle questo materiale è chiamato Pet/Al/Pe. Ottimo protettore del caffè, non lo è altrettanto nei confronti dell’ambiente proprio perché costituito da materiali di natura diversa intimamente uniti e non separabili, quindi decisamente problematici sotto il profilo ecologico.
Va da sé che oggi le torrefazioni hanno la necessità di trovare materiali che, pur proteggendo il caffè in modo da mantenerlo giovane, siano compostabili, intendendo con questo termine un materiale che posto in ambiente controllato, grazie all’azione di batteri o altri microrganismi, si decomponga in un massimo di tre mesi in almeno il 90% in acqua, anidride carbonica e biomassa. Degradandosi porterà alla formazione di compost utilizzabile in agricoltura come fertilizzante naturale. Tali sono gli imballaggi e gli altri prodotti riportanti il marchio OK Compost Industrial, garantiti come biodegradabili in un impianto di compostaggio industriale.
Ovviamente al cambio di materiale non si hanno più le stesse garanzie di tenuta offerte dagli imballi tradizionali, storicamente provate, e quindi occorre pianificare idonei test per verificare la shelf life del prodotto nella nuova confezione. Pensando all’attuale dotazione delle torrefazioni, ma anche alla finalità di garantire il piacere al cliente, il test più appropriato è offerto dalle scienze sensoriali nell’ambito di quelli innovativi ad alta utilità informativa. Questi necessitano di assaggiatori qualificati in grado di operare primariamente con descrittori oggettivi, per quanto siano poi molto apprezzate la loro esperienza nel mondo del caffè – e quindi la capacità di dare un valore edonico al prodotto – e l’attitudine a esprimere percezioni non codificate attraverso descrittori liberi.

Su L’Assaggio n.82 abbiamo riportato un metodo per valutare la tenuta dei nuovi materiali.

Luigi Odello

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