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Volete visibilità? Siate cattivi

Siamo quasi certi che i migliori strateghi del marketing ci stiano pensando: se un caffè vince la medaglia d’oro in un importante concorso, qualche citazione ci scappa, qualche amico che ne parla c’è, qualche appassionato che ha un blog si sente in dovere di scriverne. Ma è nulla in confronto a ciò che succede se per caso un piccolo lotto di caffè viene segnalato come potenzialmente pericoloso e ritirato dagli scaffali. In questo caso non c’è testata che non ci si metta di buzzo buono tracciando con dovizia di particolari tutto ciò che può succedere ai poveracci che l’hanno degustato prima del ferale avviso. Non sappiamo esattamente l’inquietudine provocata, ma sicuramente parole come “cancro”, ovviamente messe in grassetto, potrebbero avere spinto molti a richiedere al medico analisi dettagliate del sangue e magari anche una tac, con buona pace per il nostro sistema sanitario nazionale già decisamente malmesso. Nell’ambito degli articoli analizzati il soggetto passava dal lotto del caffè ai principi attivi sotto accusa che di fatto, a livello di percepito, diventavano l’intero contenuto della confezione. Ovviamente qualcuno si è allargato, qualche scivolone c’è stato persino a livello ortografico nella terminologia chimica, ma comunque un alert doveroso delle autorità si è trasformato in un evento mediatico che avrebbe richiesto milioni di euro di investimento per ottenerlo volutamente. Ora, non sappiamo quanto sia il danno per l’impresa in questione, ma pensandoci bene, non ci sarebbe una birichinata che potremmo commettere per fare parlare il mondo di noi?
Pensateci bene: alcuni professionisti della comunicazione hanno capito da tempo che la critica paga molto più dell’elogio, gli stessi notiziari televisivi sono costruiti per larga parte su eventi negativi: ma il mondo è davvero così?

Luigi Odello

Percolazione, decozione, infusione: facciamo chiarezza

Quando si parla di caffè molti termini sono usati come sinonimi quanto in realtà non lo sono e, nella loro specificità, descrivono tecniche molto diverse tra loro. Vediamole:

  • percolazione: metodo di estrazione consistente nel fare defluire un fluido attraverso un materiale poroso;
  • decozione: metodo di estrazione mediante bollitura;
  • infusione: metodo di estrazione consistente nel trattamento a caldo di materiale vegetale con un solvente;
  • macerazione: tecnica di estrazione condotta a temperatura ambiente o a freddo (criomacerazione) mediante contatto tra un solvente e un vegetale.

Nel caso del caffè molti sistemi sono misti (per esempio infusione e percolazione), ma volendo considerare la tecnica prevalente possiamo dire che risulta a decozione il caffè alla turca, a infusione il caffè preparato con sistemi a stantuffo, a macerazione il cold brew e a percolazione gli altri.

Luigi Odello

Il 2024 dell’Istituto Espresso Italiano

È partita al Sigep, a gennaio, l’attività del 2024 dell’Istituto Espresso Italiano, la manifestazione che quest’anno ha dato un chiaro segnale di forte ripartenza del settore con partecipanti provenienti da 160 paesi. In questa cornice l’Istituto ha puntato su seminari di divulgazione svolti presso gli stand delle aziende certificate. Di natura decisamente tecnica, i seminari hanno avuto lo scopo di narrare ai partecipanti le caratteristiche dell’espresso italiano partendo dalla percezione in tazza. Quale strumento è stata utilizzata la mappa sensoriale realizzata dall’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè dalla quale deriva la scheda di valutazione per la certificazione dell’Espresso Italiano. I partecipanti, tramite le esperienze di assaggio di caffè diversi, hanno potuto ricercare, trovare e quindi rendersi conto di persona delle caratteristiche basilari che distinguono un Espresso Italiano di qualità. Nel corso degli eventi non sono mancati i dibattiti sui punti qualificanti che distinguono i prodotti di qualità e le problematiche che coinvolgono il settore. Ne sono stati protagonisti il presidente dell’Istituto Luigi Morello e il suo direttore generale Gian Paolo Braceschi.

Potrete leggere l’intero articolo su L’Assaggio 85 quasi pronto per l’uscita di primavera. Per richiedere il numero iscriversi gratuitamente al seguente link.

Lo vogliamo mettere un limite edonico minimo per il caffè?

L’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Si dice. Stavolta ci torno anch’io, perché il post sulle monodosi supererà le 10.000 visualizzazioni tra news e social e, soprattutto, ha già ricevuto decine di commenti lusinghieri. Ci torno rigorosamente in prima persona per rispondere a una domanda che mi sono fatto: che succederebbe se mettessimo un limite edonico minimo per poter porre caffè in commercio? Già immaginiamo i colpevoli della cattiva qualità avversare la proposta con la classica scusa che il buono è soggettivo, ignorando (perché ignoranti o perché in malafede) che tale David Hume nel XVIII secolo ipotizzò l’esistenza di un bello (quindi anche di un buono) oggettivo, che questa teoria trova recenti dimostrazioni utilizzando l’analisi sensoriale scientifica, che nel corso di 30 anni sono stati formati oltre 13.000 assaggiatori di caffè, che da 25 anni l’Istituto Espresso Italiano qualifica le miscele secondo un metodo sensoriale, che attraverso la correlazione tra l’analisi chimica e la sensoriale oggi conosciamo molto bene le molecole che generano dispiacere. Ah, ecco, i signori che oggi popolano il mercato di un caffè incapace di offrire piacere preferirebbero forse che si ponessero dei limiti chimici perché più oggettivi? Personalmente credo che alcun limite chimico possa competere con una valutazione sensoriale scientifica quando si tratta di determinare il piacere, ma potrei anche accettare la proposta pur di evitare agli utenti finali di dire che a loro il caffè non piace o che non prendono più il caffè perché provoca turbe gastriche e nervosismo. Proprio a questo proposito il master avviato all’Università di Pisa “Scienze sensoriali per un’alimentazione sana e consapevole” sta via via mettendo in luce quanto sia importante il piacere per il raggiungimento di una dieta sana. Eliminare dal commercio prodotti di cattiva qualità corrisponderebbe quindi all’elevazione del benessere sociale.

Luigi Odello

Ivan Irenze è d’accordo con me

Con riferimento al post “È solo il mio parere, quindi non faccio nomi” abbiamo ricevuto una mail di conforto che volentieri pubblichiamo.

Buongiorno dottor Odello, sono Ivan Irenze mi occupo di caffè porzionato da anni, a ottobre 2023 ho frequentato e superato il corso Iiac M1 a Torino presso Costadoro.
Mi permetto di rispondere perché sono pienamente d’accordo con lei, sono anni che ai miei clienti cerco di aiutarli nella scelta dalla miscela giusta, per soggettività e per l’oggettiva qualità del caffè. Per me non è una questione di spingere una torrefazione piuttosto che un’altra ma di ricerca della qualità e della giusta miscela che appaghi il gusto.
Dati i numeri e il volume d’affari di questo settore secondo me c’è tanto da fare.

È solo il mio parere, quindi non faccio nomi

Domenica mattina, nella quiete del giorno festivo, mi sono assaggiato venti capsule di un noto formato oggi in uso da parte di molti. E ho imparato un sacco, perché ho ritrovato tanti difetti del caffè che conoscevo, ma non sentivo da tempo, e alcuni persino nuovi che cercherò di indagare attraverso la sensomica, perché davvero mi è difficile comprendere come certe note possano esistere nel caffè. Finché si tratta del sentore di stalla, per quanti come me sono di origini campagnole non è un mistero. Anche all’olio bruciato dei trattori ci arrivo facilmente, ma al peperone ammuffito ho qualche difficoltà.
L’esperimento mi ha fatto però non poco riflettere: c’è chi di recente ha scritto, riferendosi al bar, che il nostro è il peggiore caffè del mondo, ma ha mai sperimentato quello che circola nel consumo casalingo? Mi chiedo quindi come possiamo pensare a un consumatore evoluto che chiede qualità se a casa circolano certi prodotti. A parte questo siamo alle solite: occorre evitare qualsiasi generalizzazione, perché venerdì in treno mi sono bevuto un caffè del vending di tutto rispetto.
Insomma, so che con questo post non sto dando un grande contributo, so che se scrivessi i nomi e redigessi una classifica solleverei un bel polverone e magari sarei chiamato dai più tartassati per una consulenza o per insegnare nella loro accademia. Ma sono cose che lascio fare ad altri.

Luigi Odello

Caffè: una riflessione intorno alle tendenze di gusto in Italia

Negli ultimi anni è molto cresciuta l’attenzione al gusto. Non solo sono in crescita gli scolarizzati, vale a dire coloro che profondono risorse per l’apprendimento, ma in linea generale la ricerca del “buono” si sta affermando in modo considerevole. Questo è un dato estremamente positivo per le aziende protese verso la qualità intesa come soddisfazione del consumatore, ma non si può sottacere sul fatto che ponga una sfida di rilievo agli specialisti del marketing e ai professionisti della ricerca e sviluppo.
Nel panorama generale il caffè non fa eccezione e l’Espresso Italiano che è alla ricerca di nuove espressioni. Non mancano in tal senso creazioni di micro-roaster, artisti artigiani, che quando non soggetti a mode di dubbia piacevolezza, offrono esperienze positive emozionanti. Le grandi aziende non sono da meno: non solo accrescono la proposta volgendosi alle monorigini, ma con metodi rigorosi interrogano i consumatori per riunirli in cluster e comprenderne le tendenze. Oggi si usano metodi di indagine innovativi, veloci ed economici che consentono di realizzare migliaia di prove per ogni test da elaborare con tecniche statistiche all’avanguardia così da definire che le preferenze di diversi segmenti di popolazione definiti in base a variabili socio-demografiche.
A titolo di esempio, per quanto riguarda il gusto su base geografica, in Italia si può parlare di cinque stili di espresso, passando da una preferenza di caffè più acidi e di aroma floreale e fruttato fresco al Nord a caffè più amari e speziati a Sud. Ma non bisogna generalizzare, perché le enclavi che tradiscono questa geografia del gusto sono molte e si assiste a un orientamento su tostature piene e corpo elevato con riduzione del sapore amaro. Sempre in Italia si nota una maggiore propensione dei giovani verso caffè con maggiori livelli di acidità e bouquet di fiori e frutta fresca, senza sfociare in esagerazioni. I grandi consumatori (da 5 a 7 tazzine al giorno) prediligono caffè equilibrati, di buon corpo e di aroma complesso, mentre tostature scure con forti accenti speziati sono appannaggio dei basso-consumanti.

Luigi Odello

5.500 prove per definire gli stili del migliore caffè del mondo: l’Espresso Italiano

La generalizzazione è frutto dell’incompetenza e porta irrimediabilmente a giudizi ben lontani dalla realtà. Classificare significa cominciare a conoscere e dalla conoscenza nasce la scienza che invita alla prudenza. Noi ci abbiamo provato scoprendo e descrivendo statisticamente cinque stili dell’Espresso Italiano, mettendo anche in evidenza le preparazioni che non possono essere considerate tali.

Michelangelo ebbe a dire che ogni statua è già presente nel blocco di marmo, l’unico compito dello scultore è quello di liberarla. Lui in questo era un genio. Uno stile nasce quindi dalla capacità di plasmare le risorse disponibili in funzione del senso estetico presente nell’autore del medesimo e della sua capacità di interpretare il gusto di una cultura. Nell’ambito del caffè, le risorse che sottendono a uno stile sono essenzialmente costituite dalle diverse tipologie impiegate (specie, varietà, origine), dal metodo di tostatura e dai parametri di estrazione (grammi di caffè, granulometria, temperatura e pressione dell’acqua, tempo e grammi o millilitri in tazza).
Si può quindi parlare di stile quando esiste un’identità sensorialmente percepibile e inequivocabile. L’Espresso Italiano, pur nella sua pluralità di espressioni, la evidenzia con chiarezza, sostenuta da un archivio storico di migliaia di prove d’assaggio.

Il posizionamento sensoriale
Prendete un piano cartesiano e tracciate un asse, in relazione alle ascisse, sul quale l’amaro decresca procedendo da sinistra verso destra, lasciando via via il posto all’acido che aumenta di intensità. Poi inserite l’asse delle ordinate che, partendo dal basso e andando verso l’alto, indichi via via una riduzione di vegetale, speziato ed empireumatico, per cedere il passo alla progressiva crescita dell’intensità di fiori e frutta fresca, passando ovviamente per i toni del tostato (con pasticceria, cacao, caramello e molti altri) e poi della frutta secca ed essiccata. Ora generate un algoritmo che comprenda anche il corpo (indicato sul grafico dal diametro delle sfere) e con esso trattate i dati sensoriali di oltre 600 caffè diversi, tutti testati mediamente da nove assaggiatori, quindi per un complessivo di quasi 5.500 prove.
È quanto abbiamo fatto noi per verificare le possibilità esistenti di individuare gli stili dell’Espresso Italiano e di distinguere questo da preparazioni che, pur essendo espresso, non possono essere dichiarate conformi alla tazzina made in Italy. Elemento fondamentale per mettere a punto l’algoritmo è ovviamente stato il profilo generato dall’Istituto Espresso Italiano (Iei) che attualmente verifica e qualifica decine di miscele italiane. Di notevole utilità sono stati i campioni di caffè di tutto il mondo che hanno partecipato alle diverse edizioni di International Coffee Tasting, il concorso organizzato dall’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè (Iiac).
Nel grafico, per motivi di leggibilità, non sono riportati tutti i caffè descritti, bensì solo un’aliquota rappresentativa. Cosa possiamo desumere dal grafico? In primo luogo, si può osservare il diametro delle sfere: il disciplinare per l’Espresso Italiano Certificato indica un limite inferiore per il corpo, quindi quando una sfera è piccola significa che è basso e dunque un caffè non può essere compreso nella categoria. E poi si passi al posizionamento: al centro si collocano i campioni molto bilanciati sotto l’aspetto amaro/acido e con note evidenti di tostato, ma non carenti negli altri sentori nobili e non viziate da note poco eleganti. Man mano che ci si allontana spingendosi lungo la diagonale del primo quadrante (in alto a sinistra), si individuano miscele con amaro intenso, ma ancora con sentori di fiori e frutta fresca più o meno evidenti. Per contro in alto a destra (secondo quadrante) si collocano i campioni con decise note floreali e fruttate e una freschezza acida elevata. Il terzo quadrante (in basso a destra) è sicuramente il più spoglio in quanto è molto difficile ottenere caffè di elevata acidità con la presenza di note speziate o addirittura empireumatiche. La motivazione è complessa e certamente non descrive caffè positivi: una simile miscela può essere fatta solamente con componenti tostate male, alcune molto poco, altre moltissimo, soprattutto se il campione considerato dovesse raggiungere l’apice della diagonale del quadrante.
Nel quarto quadrante (in basso a sinistra) si posizionano i campioni che hanno un amaro elevato unito a note speziate intense, fino a esprimersi, quando estremi, nell’empireumatico. Questa è una diretta conseguenza della specie di caffè utilizzata e della tostatura alla quale è stata sottoposta.

Luigi Odello

Da Espresso Italiano Specialist (Centro Studi Assaggiatori)
shop.assaggiatori.com

L’Italia del caffè e la mancata comunicazione

Perché, soprattutto in Italia, la patria dell’espresso, questo prodotto non gode della stessa attenzione del vino? Sostanzialmente perché non ha ancora permeato in modo profondo l’universo di quanti fanno della qualità della vita una filosofia, un emblema che dichiara uno status attraverso competenza, raffinatezza, conoscenza e valore della scoperta. Talvolta la mancanza di narrazione parte dal bar. Siete al bar, sorseggiate un caffè, un espresso fatto davvero bene. Aprite sensi e mente al suo aroma, più vi focalizzate su di esso e più vi colpisce. Cercate con lo sguardo qualche elemento che possa giustificare la piacevole emozione che state provando. Nulla. Vi rivolgete al barista, con cautela, naturalmente: “Di chi è questo caffè?”. Risponde chinandosi faticosamente per prendere un pacco dal mobile che sorregge la macchina e risponde: “Di questa piccola torrefazione”, dice mostrando la confezione. Una domanda del genere rivolta a un ristoratore per un vino poteva costarvi un quarto d’ora di racconto su come l’aveva scoperto, qui purtroppo si è risolta in poche parole.
Si potrebbero usare gli stessi paesi di origine come motore di narrazione. Il caffè viene coltivato in paesi esotici, il cui solo nome ha una capacità evocativa enorme. Basti pensare ad alcune nazioni della fascia tropicale: Brasile, India, Messico, Kenya e tante altre hanno un appeal turistico grandioso che il caffè non sfrutta. Le piantagioni non sono come i vigneti e i centri di lavorazione non sono come le cantine del vino: chi riesce a visitare questi luoghi trova molte volte un’ottima accoglienza umana, ma è costretto a giungervi senza poter contare su proposte strutturate. Non esiste ancora un turismo del caffè, sebbene le potenzialità di questo settore siano enormi.
A proposito di paesi di origine, l’operatore che dovrebbe conoscere i coltivatori del caffè è il crudista, l’intermediario che con modalità diverse consente al caffè verde di raggiungere il torrefattore. Eppure, spesso si scoprono crudisti italiani che fanno da una vita il loro mestiere senza mai essere stati in una piantagione. Fortunatamente ci sono state lodevoli eccezioni, operatori molto attivi nella comunicazione e che hanno persino consegnato alla stampa le loro esperienze dando vita a libri molto belli. La mancanza di narrazione è da imputarsi anche ad alcuni torrefattori italiani che non comunicano oppure quando lo fanno generalizzano, generando nel loro utente false convinzioni.
Per esempio, negli ultimi trent’anni è cresciuta e si è ormai affermata la tendenza a distinguere le miscele in due grandi categorie: quelle composte da sola Arabica e quelle che hanno anche Robusta, inducendo nel consumatore la convinzione che solo le prime possano esprimere l’idea di qualità. Alcuni torrefattori sono restii all’idea di indicare le origini usate nelle loro miscele, talvolta temono di essere copiati dai concorrenti oppure di dare loro un indebito vantaggio competitivo. Questo atteggiamento si risolve in una ennesima opportunità mancata di comunicare con il cliente. I motivi alla base di questa reticenza sono tanti, profondi e antichi. Il mondo della torrefazione, tra le grandi branche delle aziende alimentari, è l’unico che non ha una scuola e quindi la circolazione delle idee è limitata alla base. Esistono gli enologi, i casari e i birrai, ma non i tostatori. A questo si aggiunga che il caffè è stato finora venduto in Italia, in molti casi, non per quello che è, ma come elemento inserito in un pacchetto di servizi al barista. Perdendo la sua centralità, il caffè si è visto relegare a fattore che non deve generare problemi: chiunque al bar deve poter fare un caffè senza incorrere in un risultato visivamente scadente.
Su questo assioma sono costruite decine di miscele che buone non sono, ma sono facili. Fortunatamente ci sono al contrario torrefazioni italiane che non cercano prodotti facili, ma caffè complessi e che narrano con dovizia di particolari e formano i baristi per renderli specialisti, mettendoli in grado di lavorare bene miscele difficili di alta qualità.
In questo contesto ecco che il barista assume un ruolo chiave. Non solo la qualità del caffè in tazza dipende da questa figura in quanto gestore della miscela (fin dalla sua scelta), del macinadosatore e della macchina. Da lui dipende il racconto del caffè, che non è fatto solo di parole, ma anche di un servizio inappuntabile e di un’umanità profonda. La narrazione aumenta il valore della tazzina. E chi se non l’Espresso Italiano Specialist ha il compito di narrare la sua opera? Gli chef vivono con il problema di lavorare distanti dal cliente finale, mentre il barista ha il contatto continuo con i propri clienti; quindi, ha una grande chance per fare apprezzare la sua professionalità migliorando così il proprio status, il prestigio del bar e la soddisfazione del cliente. L’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè (Iiac) ha oggi migliaia di assaggiatori in oltre 40 paesi del mondo che dispongono di un mezzo narrativo straordinario: sanno leggere una tazzina di caffè comunicando agli altri il percepito e quindi hanno la possibilità di stabilire una relazione intima utilizzando il prodotto. Per questo l’Istituto ha creato gli Espresso Italiano Trainer, veri ambasciatori della cultura del caffè capaci di svolgere seminari intriganti per operatori e consumatori.

Luigi Odello

Da Espresso Italiano Specialist (Centro Studi Assaggiatori)
shop.assaggiatori.com

L’azienda Costadoro presenta le sue novità alle fiere Sigep e Marca con uno stand rinnovato nel visual e tante collaborazioni di successo

Riprendiamo volentieri il comunicato stampa di Costadoro.

Costadoro S.p.A. è l’azienda torinese produttrice di caffè di alta gamma che rappresenta oggi una realtà industriale presente in oltre 40 Paesi.

Costadoro sarà presente dal 20 al 24 gennaio nel Padiglione B1, Stand 200 del Sigep – l’appuntamento imprescindibile per scoprire le ultimissime novità, innovazioni e tendenze del Foodservice Dolce – ma anche alla 20° edizione del Marca by BolognaFiere, in programma a Bologna il 16-17 gennaio. Quest’ultima è l’unica manifestazione dove espone la Distribuzione Moderna Organizzata.

Al Sigep, presso uno stand completamente rinnovato nel visual, Costadoro organizzerà diversi eventi in collaborazione con clienti ed aziende partner, con focus sulle più recenti innovazioni:

  • Sabato 20/01 mattina: Alpro, brand di Danone, con la quale Costadoro condivide, oltre che una partnership commerciale, anche una filosofia aziendale improntata ai valori imprescindibili per essere certificati B Corp. Costadoro ha infatti recentemente ottenuto la Certificazione B Corporation, la quale riconosce le imprese che operano rispettando alti standard di performance sociale e ambientale.
  • Sabato 20/01 pomeriggio: le World Latte Art Champions Manuela Fensore e Carmen Clemente
  • Domenica 21/01 mattina: Fonte Handcrafted blends, Via Geschwister Scholl 10, 72160 Horb am Neckar, Germania
  • Domenica 21/01 pomeriggio: Gelateria Perlecò, Passeggiata Dino Grollero, 20/21, Alassio
  • Lunedì 22/01 mattina: Pasticceria Armonie, Via Alta, 55, 30020 Marcon VE
  • Lunedì 22/01 a pranzo: Latteria Marini, Piazza Roma, 5, 63100 Ascoli Piceno
  • Lunedì 22/01 pomeriggio: Pasticceria Rêver, Via G. Rossini, 26/B, 00041 Albano laziale
  • Lunedì 22/01 sera: Pole Pole Bar, Via G. Garibaldi, 24, 17028 Spotorno
  • Martedì 23/01 pranzo: Molini Bongiovanni – con Salvatore De Rinaldi dell’Azienda Casa De Rinaldi, Via Antonio e Luigi Sementini, 28, Napoli. L’azienda è recentemente entrata a far parte della rete di eccellenze piemontesi Exclusive Brands Torino, guidata dal Presidente e AD di Costadoro Giulio Trombetta.
  • Martedì 23/01 sera: Istituto Nazionale Espresso Italiano, Galleria Vittorio Veneto, 9, Brescia

Costadoro si presenta a queste importanti fiere con una personalità rinnovata nel look dello stand ma anche delle sue miscele Lab, Respecto, Master, Super ed Extra, dove il caffé è il centro del racconto e allo stesso tempo è il link che lega tra loro i vari ambienti di socializzazione frequentati dagli amanti della qualità Costadoro. Un mood ricercato senza essere elitario, aspirazionale pur rimanendo accessibile, contemporaneo e social, caldo, relazionale, ispirazionale.

Nell’ottica di essere accessibile a tutti i pubblici Costadoro ha scelto una strategia multicanale, sbarcando recentemente nella Gdo con una linea retail di prodotti che comprende pack e miscele di vari tipi e formati (dal macinato per moka, ai grani, dalle capsule compatibili Nespresso a quelle compatibili con macchine Lavazza A Modo Mio).

Costadoro sarà presente nel 2024 anche alle fiere: Gulfood di Dubai dal 19-23 febbraio, all’Horeca Expoforum di Torino dal 17-19 marzo e al Cibus di Parma dal 7-10 maggio.